La Corte di Cassazione sul mobbing immobiliare
Con la sentenza n. 5044 del 28 febbraio 2017 la Corte di Cassazione civile, Sez. III, ha chiarito che può definirsi mobbing immobiliare la condotta dei proprietari di immobili locati che si sostanzi in azioni, anche illegali, dirette a sottoporre i conduttori ad una condizione di stress psicologico.
La questione sottoposta all’attenzione della Suprema Corte riguarda un’opposizione tardiva ad una licenza per finita locazione, con contestuale richiesta di risarcimento danni per le pressioni psicologiche e le azioni esercitate, durante il periodo della locazione, da parte del proprietario dell’immobile in danno dell’inquilino.
Nel caso di specie, la Corte accoglieva il motivo concernente la richiesta di risarcimento danni, che, invece, era stata respinta sia in primo che in secondo grado; la Cassazione ha avuto modo di chiarire che la condotta tipica del mobbing immobiliare è una condotta plurima che viene a configurarsi ogni qual volta sia posta in essere una sequela di azioni concatenate, tutte dirette ad ottenere la liberazione dell’immobile locato e ad estromettere gli inquilini, al fine di utilizzare l’immobile stesso per altri scopi o in relazione ad un piano di trasformazione urbanistica.
Trattasi, pertanto, di una condotta dai caratteri persecutori, che si estrinseca in una molteplicità di azioni pregiudizievoli, reiterate nel tempo, tutte finalizzate a trarre un risultato vantaggioso per il locatore e svantaggioso, sia sul piano materiale che su quello psicologico, per il conduttore.
Avendo, quindi, riscontrato un vizio assoluto di motivazione, la Suprema Corte ha annullato la sentenza di appello relativamente alla parte in cui rigettava la richiesta di risarcimento danni, rinviando la questione ad altra sezione territorialmente competente.